13 Settembre 2015

La splendida città rosa, opera dell'arte scultorea dei Nabatei

In Giordania si trova una città antica, da visitare in punta in piedi per ascoltare il sibilo del vento che ha modellato il luogo arido dove sorge: è Petra “la città rosa”.
Il sito archeologico, di una bellezza sbalorditiva, si lascia penetrare poco a poco, segnando un viaggio irrinunciabile alla scoperta degli antichi tesori architettonici lasciati dall’ingegnoso popolo dei Nabatei.

Per raggiungere Petra bisogna attraversare una profonda gola, il Sîq, situata ad est del sito archeologico e caratterizzata da una profondità di 200 metri e una lunghezza di circa 1, 2 km.
Questa strada, un tempo pavimentata e ornata di statue, si può percorrere a piedi per meglio ammirare la roccia rosa e i raggi del sole che fanno capolino nella feritoia del canyon, o a cavallo, o ancora su un dromedario.

Petra in greco significa “roccia”, ad indicare la collocazione di un sito che è stato letteralmente strappato alla pietra ad opera della grande maestria scultorea dei Nabatei, il popolo che l’ha abitata e resa viva nonostante le avverse condizioni climatiche ed orografiche. Le forti ancorché rare piogge, infatti, minacciavano i luoghi con inondazioni frequenti, fino alla risistemazione dei canali.
Il Sîq, che sembra una strada appositamente scavata per accedere alla città e per garantirne la difesa, non era altro che il letto di un vecchio fiume, deviato per rifornire una luogo terribilmente arido.

La città scavata nella roccia fu dimenticata dal mondo per centinaia di anni, dopo che i Nabatei l’abbandonarono nel VIII sec. d.C a causa di catastrofi naturali, e riscoperta soltanto nel 1812. Fu Johann L. Burckhardt, un viaggiatore svizzero, che ebbe la fortuna di riportarla alla luce in tutta la sua incredibile bellezza, percorrendo la strada che collega Damasco con la Giordania.

Rapisce inesorabilmente ogni sguardo la facciata del Palazzo del Tesoro del Faraone, interamente scolpita nella roccia, che si svela all’improvviso in tutta la sua imperiosità.
E’ stupefacente come in epoche così remote sia stato possibile realizzare una simile opera; ma, del resto, questa incredulità colpisce l’uomo moderno di fronte a tutte le bellezze del passato. Da ricerche archeologiche è emerso che i Nabatei lavorarono la pietra appesi a delle rudimentali carrucole, partendo dall’alto e realizzando non solo la facciata, alta 43 mt. e larga 30 con colonne, statue e rientranze, ma anche scavando e modellando l’interno.
La denominazione di Palazzo del Tesoro è dovuta ad una leggenda secondo la quale un faraone nascose il suo tesoro nell’urna della facciata durante la guerra contro gli israeliti. L’interno è strutturato in un ambiente unico, con una piccola rientranza laterale ma completamente spoglio, forse adibito a una tomba monumentale.
Questa supposizione trova conferma nel ritrovamento, nella città nabatea, di decine di monumenti funerari e di tombe scavate nella roccia e collocate in posizioni elevate.

La costruzione della città è di difficile datazione, ma dovrebbe risalire a pochi secoli precedenti la nascita di Cristo; risulta dai Rotoli di Qumran, ritrovati presso il Mar Morto, che i Nabatei volevano impedire a Mosè di fuggire dall’Egitto.
Sbalorditivo il sistema d’ingegneria idraulica adottato da questo popolo per non rimanere senz’acqua e rifornire tutti gli abitanti del luogo.
Fin dalla strada che porta di fronte al Palazzo del Tesoro si notano i canali scavati nella roccia, che servivano a raccogliere l’acqua piovana.
L’acqua veniva convogliata in decine di cisterne sotterranee che rifornivano non solo i Nabatei, ma servivano anche per dare da bere agli animali ed irrigare le coltivazioni a terrazzamenti, di cui oggi rimangono solo le sagome scavate.

Le vie laterali al Palazzo del Tesoro portano ad altri monumenti molto suggestivi, come l’anfiteatro con circa 3000 posti, la necropoli, tra cui la Tomba dell’Urna anche detta del Tribunale, la Tomba della Seta dalla caratteristica colorazione variopinta della roccia, e la Tomba del Palazzo, una delle più maestose purtroppo erosa dagli agenti atmosferici.
Sulla via Wadi Musa si arriva a una strada lastricata con colonne laterali di origine romana, dove si svolgevano i mercati ed erano presenti negozi e botteghe, e dove si trova la Porta di Traiano.
Il Monastero infine, così chiamato per il riutilizzo che ne fecero alcuni eremiti, somiglia molto al Palazzo del Tesoro ma è più esteso.

Il momento migliore della giornata per visitare la città è il tardo pomeriggio, quando la roccia si colora di un rosa aranciato per il tramonto e assume un’atmosfera sognante e misteriosa che non ha eguali. Si tratta infatti di una delle 7 meraviglie del mondo nonché Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Cosa aspettate a partire?

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